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Archeologia, scoperti resti umani di 2000 anni fa nella Tomba del Cerbero a Giugliano

Le indagini nella Tomba del Cerbero a Giugliano proseguono, in vista della ripresa degli scavi nella necropoli circostante e i lavori di restauro degli affreschi finanziati dal Ministero della Cultura. Grazie a un intervento mirato e all’uso di una microcamera, è stato aperto un varco nel sarcofago, rimasto sigillato per oltre 2000 anni, permettendo l’accesso al suo interno. Le operazioni di scavo, coordinate dall’archeologa Simona Formola, hanno portato alla scoperta eccezionale di una sepoltura in ottimo stato di conservazione. È stato ritrovato un corpo inumato in posizione supina, coperto da un sudario probabilmente mineralizzatosi grazie alle particolari condizioni climatiche della camera funeraria. Attorno al corpo sono stati rinvenuti diversi oggetti di corredo, tra cui unguentari e strigili. La cura con cui è stato sepolto l’inumato e la datazione degli oggetti suggeriscono che potrebbe trattarsi del capostipite della famiglia per la quale è stato costruito il mausoleo.

“La Tomba del Cerbero continua a fornire preziose informazioni sul territorio flegreo nei pressi di Liternum”, ha dichiarato il Soprintendente Mariano Nuzzo, “ampliando la conoscenza del passato, e offrendo opportunità per ricerche anche di carattere multidisciplinare”. “Negli ultimi mesi, infatti”, continua il Soprintendente, “le analisi di laboratorio condotte sui campioni prelevati in corrispondenza degli inumati e dei letti deposizionali, hanno restituito una notevole quantità di dati circa il trattamento del corpo dei defunti e il rituale funerario messo in atto, arricchendo notevolmente il panorama delle nostre conoscenze. Un lavoro di squadra guidato dalla Soprintendenza, che ha visto impegnati archeologi, tecnici, antropologi, paleobotanici, chimici, uniti nel comune obiettivo di interpretare i dati raccolti e svelare il sito nel tempo”.

Sono state adottate procedure complesse per effettuare diverse analisi. La professoressa Margarita Gleba del laboratorio dell’Università degli Studi di Padova ha esaminato i tessuti per determinare la struttura del filato, il tipo e la qualità dei tessuti, al fine di ricavare informazioni di carattere culturale e sociologico. La professoressa Maria Rosaria Barone Lumaga, ricercatrice presso il dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II – Real Orto Botanico di Napoli, ha condotto osservazioni al microscopio su sostanze organiche presenti in alcuni contenitori. Le analisi polliniche effettuate dall’archeobotanica Monica Stanzione, in collaborazione con il dottor Marco Marchesini e la dottoressa Silvia Marvelli del CAA (Centro Agricoltura Ambiente “Giorgio Nicoli”), suggeriscono che i corpi degli inumati potrebbero essere stati trattati con creme a base di chenopodio e assenzio per una migliore conservazione. Le analisi sul DNA degli individui sono ancora in corso, grazie al lavoro della bio-antropologa Barbara Albanese in collaborazione con il dottor Pontus Skoglund, il dottor Thomas Booth e la dottoressa Sarah Johnston dello Skoglund Ancient Genomics Laboratory presso il Francis Crick Institute.

La continuazione delle ricerche archeologiche e delle attività di campionamento e analisi in laboratorio nei prossimi mesi permetterà di ottenere ulteriori dati interessanti non solo dall’ipogeo, ma anche dalla necropoli circostante. Questi dati saranno utili per ricostruire il contesto storico e sociale di una comunità antica che ha ancora molto da rivelare.

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