«Non ho avuto percezione dell’impatto. Né io, né le altre sei persone che erano a bordo. Nessuno ha percepito nulla. Uno degli ospiti ha visto una persona che si sbracciava a poppa. Più che prestare soccorso e dare l’allarme non potevamo fare».
Ha la voce provata Giudo Furgiuele quando ricorda il pomeriggio di domenica. Il penalista, figlio dell’avvocato professore Alfonso Furgiuele, è indagato dalla Procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sulla morte della ricercatrice Cristina Frazzica, 30 anni, deceduta nel pomeriggio di domenica scorsa dopo essere stata travolta da un’imbarcazione mentre era in gita su un kayak insieme con un avvocato suo amico nelle acque di Posillipo, a Napoli.
La persona che chiedeva aiuto era in acqua?
«Sì, era in mare, a circa cinquecento metri dalla riva. Giusto il tempo di fermare la barca e siamo tornati indietro per andarlo a soccorrere. Abbiamo tirato su il giovane e la canoa. Quando è salito in barca ci ha detto che con lui c’era un’altra ragazza che era stata investita da un motoscafo velocissimo. La mia barca non è un motoscafo velocissimo, quindi non abbiamo associato che l’incidente potesse essere stato causato da noi».
A quel punto cosa ha fatto?
«Ho dato l’allarme. Ho contattato io stesso la Capitaneria di Porto dicendo che c’era stato un incidente e che in mare c’era una ragazza dispersa. Ho atteso che arrivassero e insieme a loro mi sono portato al molo Luise, dove ho anche fatto scendere a terra le persone che erano insieme a me».
In perfetta buona fede.
«Sì. Anche se pare ci sia un video che ritrae la mia imbarcazione in quella zona e in quel lasso di tempo».
Com’è il suo stato d’animo?
«Sono sconvolto. Al timone dell’imbarcazione c’ero io. Se la ragazza è finita sotto la mia barca, me ne assumerò tutte le responsabilità, come ho già dichiarato al pubblico ministero».