Urologi: riorganizzare la Rete ospedaliera

0
64

La pandemia ci ha insegnato che la riorganizzazione della rete ospedaliera non deve basarsi su hub in competizione tra loro. Bisogna lavorare piuttosto per costruire un network di realtà che collaborino e interagiscano, una continuità di strutture che sviluppino al massimo la propria vocazione e le rispettive potenzialità. Coinvolgendo la sanità privata per sostenere al meglio i programmi assistenziali delle Regioni e del Governo. Vanno inoltre valorizzate le indicazioni che la pandemia ci ha consegnato senza mediazioni: l’importanza della medicina territoriale, della chirurgia ambulatoriale mininvasiva che deve sostituire lunghi ricoveri, costosi non solo in modo diretto ma anche indiretto, della chirurgia tradizionale ovunque sia possibile, riprendere un filo diretto con la medicina generale attraverso una rete informatica che si parli attraverso un’unica piattaforma nazionale, riorganizzare l’assistenza e la presa in carico del paziente anche con sistemi di telemedicina e tele assistenza. È da questa base che bisogna ripartire, anche in prospettiva di un corretto utilizzo dei fondi riservati alla sanità dal Recovery Fund e dal Meccanismo Europeo di Stabilità, per arrivare a creare una rete sul territorio unica, efficace ed efficiente. È una delle conclusioni a cui si è giunti al termine dell’incontro “Agorà”, alla sua seconda edizione, che si è tenuto, come di consueto, nell’ambito del 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia SIU. “L’obiettivo di creare sul territorio una rete fatta di maglie unite e collaborative richiede però importanti cambiamenti nel sistema, a cominciare dal versante ospedaliero – ha spiegato Francesco Porpiglia, Ordinario di Urologia dell’Università degli Studi di Torino e responsabile dell’ufficio scientifico SIU –. Bisognerà intervenire ad esempio sulla necessità di standardizzare gli interventi con i dispositivi chirurgici, che consentono di minimizzare i tassi di complicanze, e di aumentare la chirurgia mini invasiva. Purtroppo il sistema attuale premia ancora chi registra degenze più lunghe, e questo non è certo uno stimolo a incrementare gli interventi di chirurgia mini invasiva, che invece riducono i tempi di degenza”. “Sembra quasi che si voglia ignorare un elemento in realtà essenziale – ha precisato Roberto Mario Scarpa, direttore dell’Unità Operativa complessa al Policlinico Universitario Campus Biomedico di Roma e presidente SIU –: lo sforzo organizzativo e tecnologico alla base di un intervento mini invasivo, che comporta un ricovero di 24-48 ore, non viene adeguatamente compensato dai rimborsi del Sistema sanitario, che equipara i costi di tali procedure a quelli sostenuti per la chirurgia tradizionale. La stessa logica viene applicata per le procedure diagnostiche più innovativi”. “Lavorare tutti insieme, sentirsi maglie di un’unica rete è la chiave per affrontare i prossimi anni – ha aggiunto Luca Carmignani, direttore del dipartimento di urologia all’IRCCS San Donato, Università di Milano –. E far parte di questo network è un concetto che non può non riguardare anche il medico di famiglia e lo specialista. È importantissimo per queste due figure cruciali sul territorio una comune assunzione di responsabilità clinica”. L’incremento delle patologie croniche legate all’avanzamento dell’età della popolazione e dei follow up oncologici a lungo termine sta modificando sempre di più anche lo scenario assistenziale: “Il paziente non ha soltanto bisogno di diagnosi e cure, ma anche e soprattutto di presa in carico e di assistenza – ha spiegato Rocco Damiano, direttore del dipartimento di urologia all’università Magna Graecia di Catanzaro e componente del Comitato Esecutivo della SIU –. La giusta valorizzazione della medicina del territorio e della sanità privata deve essere parte integrante di un cambio di passo nella riorganizzazione della rete ospedaliera, in modo da adattarsi sempre meglio a uno scenario di Medicina centrata sul paziente”. L’incontro “Agorà” è stato anche l’occasione di affrontare un altro tema molto importante: qual è il ruolo della telemedicina nel fronteggiare lo scenario pandemico e post pandemico? “Il Covid ha reso evidente l’imprescindibile utilità di modelli come la televisita, il teleconsulto e l’ospedalizzazione domiciliare – ha fatto notare Walter Artibani, urologo e segretario generale della SIU –. Tutte esperienze che si caratterizzano per una più stretta collaborazione tra i medici di medicina generale e gli specialisti ospedalieri. Le piattaforme della telemedicina sono strumenti strategici per garantire la migliore assistenza possibile al paziente, favorendo il processo di deospedalizzazione e delocalizzazione delle cure, a tutto vantaggio della continuità assistenziale. Ma affinché le tecnologie a distanza possano concretamente rivelarsi efficace, è necessario individuare ed esplicitare le esigenze di tutti gli attori nella rete della salute: l’utilizzo degli strumenti di telemedicina all’interno della rete ospedaliera, fra i presidi ospedalieri di vario livello, ma anche fra la rete ospedaliera e il territorio, rafforzando l’integrazione con la Medicina generale, in piena coerenza con le esigenze di governo e di sostenibilità dell’assistenza sanitaria”. Riorganizzare la rete ospedaliera, individuare nella telemedicina i modi e gli strumenti per renderla più efficiente, rappresentano una delle sfide più difficili ed importanti per la Sanità di oggi: “La nostra società scientifica, che raccoglie oltre 2500 specialisti iscritti, sarà in prima fila per proporre idee e progetti per armonizzare e finalizzare al meglio gli obiettivi proposti e invita tutte le altre società scientifiche a fare lo stesso”, hanno concluso gli urologi SIU.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui