In Italia sono 245 mila le persone che soffrono di schizofrenia, malattia a tratti ancora oscura che vede tra le cause una predisposizione genetica in aggiunta a condizioni di stress psicologico-ambientale e all’uso precoce di sostanze. E’ in uscita oggi su Netflix, per la regia di Roberto Capucci, il film “Mio fratello, mia sorella” che vede protagonisti Alessandro Preziosi e Claudia Pandolfi. Per la prima volta al centro della storia troviamo proprio la schizofrenia e il suo impatto nelle famiglie. La Società Italiana di Psichiatria (SIP), ha partecipato attivamente alla sua realizzazione prestando la consulenza scientifica per la sceneggiatura e per il training degli attori. Nelle scene, infatti, si parla apertamente di trattamenti farmacologici, interventi psicoterapeutici e riabilitativi e del ruolo determinante delle dinamiche familiari. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale del 10 ottobre, grazie a “Mio fratello, mia sorella”, si puntano i riflettori sui pazienti, spesso avvolti da stigma e pregiudizi, e sul mondo dei caregiver che vi gravita intorno. “In questo film la persona con psicosi schizofrenica viene mostrata nella sua interezza, senza pregiudizi e dietrologie, e con la consapevolezza che questo disturbo oggi possa avere un prognosi migliore rispetto al passato, grazie ai progressi della ricerca che garantiscono un miglioramento sostanziale della qualità di vita dei pazienti schizofrenici – spiega Massimo di Giannantonio, presidente SIP – Il lavoro fatto dal regista e dagli attori sotto la supervisione della Società Italiana di Psichiatria contribuisce a far comprendere al grande pubblico la complessità e la sofferenza di questo grave disturbo”. La trama è molto avvincente. Muore il padre di Tesla (Claudia Pandolfi) e Nik (Alessandro Preziosi). Entrambi non si vedevano da almeno 20 anni e si trovano costretti a convivere, seguendo l’ultima volontà del papà, nella stessa casa. Qui vivono anche i figli di Tesla: Sebastiano (Francesco Cavallo), un violoncellista affetto da schizofrenia e Carolina (Ludovica Martino). E tra Sebastiano e Nik nascerà un profondo legame. “E’ vero che ‘a volte per ritrovarsi bisogna prima perdersi’ – sottolinea il prof Giovanni Martinotti, coordinatore nazionale dei giovani psichiatri SIP e consulente per gli aspetti medico-psichiatrici del film – Nel ritrovarsi, nell’incontro con l’altro, può nascere un dialogo speciale in grado di far cadere stigma e pregiudizi. Il rapporto tra Sebastiano e Nik diventa educativo per tutti e getta una luce di speranza sul mondo della schizofrenia”.
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