L’Italia fa passi in avanti nell’assistenza ai pazienti con malattia di Fabry, una grave e complessa patologia genetica rara, che colpisce principalmente il cuore ma anche reni e cervello, riducendo così l’aspettativa di vita fino a 30 anni, grazie alla creazione di una rete di specialisti per la diagnosi e il trattamento precoce della malattia. E’ questo il progetto promosso dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC), con l’intento di consentire un maggiore successo in termini di risposta terapeutica e migliore qualità di vita dei pazienti, evitando danni d’organo irreversibili. L’obiettivo è anche quello di creare un Registro Nazionale che punta a raccogliere informazioni epidemiologiche sul numero di casi e sulla relativa distribuzione sul territorio nazionale, utili a definire le dimensioni del problema e a supportare la ricerca clinica, la diagnosi e la terapia di questa malattia rara. A questa iniziativa è collegato anche il sito dedicato www.lamalattiadifabry.it, realizzato con il contributo non condizionato di Takeda Italia, da oggi disponibile online, con la mappa dei 49 centri di riferimento distribuiti su tutto il territorio nazionale e aggiornamenti continui sulla malattia per aiutare i pazienti e le loro famiglie a conoscerla e a gestirla al meglio. La patologia di Fabry è una malattia genetica grave e complessa, rara ma non rarissima, che nel nostro Paese colpisce circa 1000 persone. Ma si tratta di un numero sottostimato: in Italia i casi dovrebbero ammontare ad almeno il doppio, con un’incidenza di 1 ogni 3mila nati. La malattia di Fabry è carattereizzata da un accumulo di particolari grassi causato dal deficit o carenza alfa-galattosidasi A. Ciò comporta un accumulo di scorie nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo, con danni progressivi a livello cardiaco, renale e del sistema nervoso centrale. “La diagnosi può diventare un’odissea: dall’insorgenza della malattia alla sua corretta individuazione possono passare fino a 18 anni per gli uomini e addirittura oltre i 20 per le donne – dichiarano Elena Biagini, Dirigente Medico del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna e Giuseppe Limongelli, Professore Associato di Cardiologia presso all’Ospedale Monaldi di Napoli, coordinatori della Rete -. Questa patologia si può manifestare in modo estremamente vario con neoformazioni cutanee, problemi oculari, insufficienza renale e cardiopatia. Il coinvolgimento del cuore è caratterizzato da alterazioni del ritmo cardiaco, disturbi della conduzione, che nel tempo possono progredire nello scompenso cardiaco che rappresenta la causa principale di morte non solo nei maschi ma anche nelle donne portatrici, con una riduzione dell’aspettativa di vita, fino a 30 anni”. Esistono due differenti forme di malattia di Fabry: la forma classica e la forma ad esordio tardivo o ‘late-onset’. “Nella forma ad esordio tardivo, le manifestazioni cliniche compaiono non prima della seconda o terza decade di vita e sono generalmente più sfumate rispetto alla forma classica e spesso coinvolgono un solo organo, generalmente cuore, cervello o rene – osserva Pasquale Perrone Filardi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia e Ordinario di Cardiologia presso l’Università Federico II di Napoli -. In entrambe le forme, il coinvolgimento cardiovascolare è emerso come uno dei principali determinanti della prognosi”. “Le difficoltà che si incontrano nell’individuare tempestivamente la malattia e il ruolo centrale del cardiologo, a cui spetta il compito di effettuare la diagnosi differenziale con altre cardiopatie, oltre a rilevare eventuali altri danni cardiaci – Ciro Indolfi, Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia e Ordinario di Cardiologia presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro – hanno gettato le basi per la creazione di una Rete Italiana della malattia di Fabry, per poter accrescere le conoscenze mediante lo scambio continuo e il confronto tra le varie realtà e per unire risorse e competenze, fondamentali al fine di creare percorsi diagnostico-terapeutici condivisi e rispondere in maniera specifica ai bisogni dei pazienti e delle loro famiglie. La Rete Italiana della malattia di Fabry – prosegue l’esperto –fornisce, inoltre, attraverso il proprio sito dedicato, www.lamalattiadifabry.it, aggiornamenti continui sulla malattia, informazioni utili e la mappa dei centri italiani di riferimento”. “Noi di Takeda Italia sosteniamo iniziative della Rete, nell’ambito del nostro impegno al fianco dei pazienti con malattia di Fabry e dei clinici – dichiara Andrea Degiorgi, Rare Business Unit Head di Takeda Italia –. Attraverso trattamenti terapeutici efficaci, campagne di sensibilizzazione, iniziative e programmi di supporto è possibile fare la differenza nella vita di questi pazienti e di chi se ne prende cura”. L’importanza di riconoscere la malattia di Fabry è legata anche alla disponibilità di terapie specifiche capaci di rallentare e, in alcuni casi, di arrestare la progressione della patologia. Oggi abbiamo a disposizione le terapie enzimatiche sostitutive come agalsidasi alfa e agalsidasi beta, somministrate per via endovenosa ogni due settimane, hanno vent’anni di dimostrazione in studi clinici sull’aumento dell’aspettativa di vita di circa 20-25 anni rispetto ai pazienti con malattia di Fabry non in trattamento. Inoltre, per i pazienti portatori di specifiche mutazioni a carico del gene GLA, esiste una terapia per via orale, detta ‘chaperonica’, in grado di modificare l’accumulo di grassi in quei pazienti che presentano una mutazione specifica, riducendo così il danno legato all’accumulo di tali sostanze nei vari organi e tessuti. Infine, diversi nuovi farmaci sono in fase II o III di sperimentazione come la pegunigalsidasi alfa, molecola enzimatica sostitutiva di nuova generazione che mostra maggior emivita e selettività nei confronti di cuore e reni, o lucerastat e venglustat, molecole ad uso orale, che hanno l’obiettivo di ridurre l’accumulo di grassi nelle cellule.
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