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Il centravanti in giacca e cravatta, il libro di Tommaso Mandato

Recensione a cura di Libreria Libridine

Che cos’è il calcio? No, aspe’, riformuliamo la domanda. Dunque. Che cos’è il calcio per uno che il calcio lo ha vissuto da dentro? No, non va bene neanche così. Riproviamo: che cos’è il calcio per uno che ha vissuto il calcio sui campi di Napoli e provincia mentre Maradona era Maradona più di sempre, nel pieno della sua carriera e nel pieno della sua influenza. Ecco. Così ci stiamo avvicinando. Ma non è facile, perché gli intrecci, le passioni, i contesti, spesso prendono il sopravvento su tutto.
E più andiamo avanti nella lettura di questo libricino così particolare, meno sappiamo dare una risposta univoca.
Il consiglio letterario della Libreria Libridine per oggi è Il centravanti in giacca e cravatta di Tommaso Mandato. Una biografia che è il racconto semiserio scritto in prima persona da chi ha trascorso buona parte della sua vita con un pallone tra i piedi. «Compagno di giochi, ma pure maestro di vita. Dal Super Santos al pallone di cuoio con gli spicchi, il pallone non è stato solo l’oggetto rotondo che ho preso a calci più di tutto, ma è stato anche il mezzo più efficace per instaurare rapporti, è. E pure il lasciapassare per incontrare alcuni dei miei idoli. Uno in particolare, del quale conserverò per sempre un bellissimo ricordo e al quale – sorridendo – ho perdonato persino di avermi fatto passare la palla tra le gambe». E come non condividere con voi subito, subitissimo, queste pagine che raccontano della città che ospita la libreria ? È il secondo capitolo del libro: «Portici. Fine anni ’60. Non amavo particolarmente quel soprannome che mi avevano appioppato, ’o russollillo, per due ragioni: innanzitutto perché, con entrambi i genitori insegnanti di italiano, al dialetto non ero abituato; inoltre in quel nomignolo ci vedevo sempre una punta di disprezzo. Un marchio del quale avrei volentieri fatto a meno. A me interessava giocare a pallone e desideravo farlo con un solo pensiero in testa: arrivare il prima possibile nell’area avversaria e segnare. Con un tiro dal limite o magari con un pallonetto, il colpo preferito di Gianni Rivera, idolo di una generazione che – cresciuta nella Portici di fine anni ’60 – emulava lui o Sandro Mazzola, suo concorrente in nazionale. «Professo’» dicevano amici e parenti rivolgendosi a mio padre «Tommaso è veramente forte. Diventerà un bravissimo calciatore». «Mio figlio deve pensare a studiare, non al pallone» rispondeva il professore Mandato che immaginava per il figlio un futuro fatto di registri scolastici e consigli di classe con varianti che mi avrebbero portato in un ufficio oppure in uno studio a esercitare la professione di medico, avvocato o qualcosa di simile. Non vedente a causa di una retinite pigmentosa, una malattia congenita – mal curata nel periodo postbellico – che lo portò gradualmente alla cecità assoluta, mio padre seguiva la mia carriera attraverso le narrazioni altrui. Un giorno, mettendo da parte la discrezione, decise di presentarsi allo stadio in occasione del derby tra la squadra Primavera dell’Avellino, nella quale militavo, e i pari età del Napoli. Realizzai il gol del pareggio e fui felice come non mai. Sugli spalti mio padre sorrise. Quel gol non lo aveva visto, ma lo aveva vissuto».

Il libro, e pure la passione per il calcio, li trovate alla Libreria Libridine.

Dai un’occhiata alla recensione precedente!

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