Cura degli anziani, 60% posti letto al nord

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Secondo una ricerca del Censis commissionata da Family Care (Agenzia per il Lavoro controllata da Openjobmetis e autorizzata dal Ministero del Lavoro per offrire servizi di ricerca, selezione e somministrazione di assistenti familiari, più comunemente denominati badanti), il 70% degli Italiani è consapevole di quanto gli anziani, con le loro pensioni, riescano ancora a essere di indispensabile sostegno economico. Il nesso tra anzianità e povertà è ancora diffuso nell’immaginario, ma è in buona parte infondato: gli anziani possiedono il 40% della ricchezza nazionale, il doppio rispetto a 25 anni fa, anche se spesso è condivisa con il resto della famiglia. In Italia, 1 famiglia su 3 ha al suo interno un percettore di pensione da lavoro. In questo senso, in Italia, un sistema di prossimità e comunitario a supporto degli anziani non autosufficienti esiste già e lo si può rafforzare. Il PNRR prevede Fondi per la riforma a favore degli anziani non autosufficienti, ma a patto che venga realizzata entro questa Legislatura (primavera 2023). Si tratta di circa 7,5 miliardi per investimenti sul miglioramento della qualità della vita per le persone non autosufficienti, di cui 6,5 miliardi direttamente destinati agli anziani tendenzialmente non più autonomi:

  • 2 miliardi per la transizione dalle RSA a residenze comunitarie;
  • 4 miliardi per la modernizzazione dell’assistenza domiciliare;
  • 1 miliardo per gli ospedali di comunità che indirettamente riguardano gli anziani dei piccoli centri;
  • altri 500 milioni di Euro sono destinati alla prevenzione dell’istituzionalizzazione delle persone non autosufficienti (in maggioranza anziani).

Si va quindi verso una de-istituzionalizzazione dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. La riforma però deve tener conto della situazione attuale, che si basa sostanzialmente sull’iniziativa familiare: l’anziano che comincia a non essere più autosufficiente viene accudito nel 90% dei casi dai familiari, principalmente dai coniugi: sono circa 4 milioni gli Italiani che a vario titolo si prendono cura di familiari non autosufficienti. Supportati da circa mezzo milione di badanti, di cui 350.000 conviventi. Un sistema che è già comunitario e di prossimità e che, in modo inatteso, ha retto bene al “crash test” del Covid, malgrado una convivenza che tra isolamento, virus, paure e regole non chiare, poteva risultare esplosiva, nella stragrande maggioranza dei casi dimostrando che ha prevalso il buon senso e l’adattamento e che la badante è “una persona di famiglia”. Il 90% delle badanti si è vaccinato e quando, con l’autunno, dovremmo prepararci ad un Covid endemico, sarà essenziale che chi sta con gli anziani segua la loro stessa profilassi. La riforma deve anche consolidare il sistema esistente, con corsi di formazioneIl 75% delle famiglie si aspetta forme di incentivi o di detrazioni per le badanti. Così come per le attrezzature domestiche in grado di facilitare l’accudimento. Ma ci sono degli obiettivi da raggiungere: il più importante è che l’assistenza di tipo residenziale raggiunga il 10% degli over 65 entro il 2026. Allo stato attuale, i posti letto assistenziali tradizionali o comunitari coprono solo il 2% degli anziani, mentre l’assistenza domiciliare raggiunge il 6% di essi, ma con un numero di ore annuo assolutamente insufficiente (18 in media). L’obiettivo è ambizioso, ma le risorse economiche potrebbero, da sole, non essere sufficienti. Due i problemi di difficile soluzione in breve tempo:

  1. il 60% dei posti letto si trova nelle 4 grandi Regioni del nord (Lombardia, Piemonte, Emilia R. e Veneto), in rapporto al numero di abitanti in queste regioni ci sono 10 volte più posti letto che nelle grandi regioni del sud (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia). Non è solo un fatto di “arretratezza strutturale”, ma anche soprattutto una tradizione culturale, per cui nel Mezzogiorno l’anziano è tenuto più a lungo dentro casa. Comunque, costruire nuove strutture è molto lungo ed è impensabile adeguare altri edifici;
  2. il sistema italiano già allo stato attuale soffre di una grave mancanza di personale specializzato (mancano almeno 100.000 unità), la formazione professionale richiede tempi lunghi e una vera rivoluzione nei criteri di accesso. Senza considerare, poi, che manca un piano organico per una gestione strategica che deve essere obbligatoriamente articolata e integrata. “Come confermano i dati del Censis, è innegabile che i nostri anziani rappresentino per le famiglie italiane un punto di riferimento economico e che la loro cura e assistenza graviti ancora in maniera cospicua su famigliari e parenti”, afferma Rosario Rasizza, AD di Family Care. “Proprio in questo senso – continua Rasizza – va la mission di Family Care, che da quasi 10 anni offre alle famiglie italiane la garanzia di affidarsi a personale altamente preparato e formato per la cura dei propri cari bisognosi di assistenza. Nel caso delle badanti, anche in un momento delicato come la pandemia, siamo riusciti a fare in modo che il 90% di loro completasse il ciclo vaccinale e proseguisse il percorso senza intoppi. Ci siamo battuti per questo, ma non è abbastanza: siamo consapevoli che manca ancora personale specializzato, strutture adeguate così come incentivi consoni, ma quanto è stato ottenuto finora ci sprona a essere ottimisti per il futuro, sperando sempre di avere il sostegno attivo delle istituzioni.”

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