LGBT, andrologi: 1 su 10 è ancora vittima di pratiche ‘correttive’

La redazione
02/02/2022 @ 15:05

Perché essere se stessi non è un crimine, perché non c’è niente da guarire”. Con questo tweet Emmanuel Macron ha annunciato l’approvazione all’unanimità da parte del Parlamento francese di una legge che vieta e punisce tutte le cosiddette ‘terapie riparative per le persone LGBT. Da oggi in Francia nessuno potrà provare a ‘correggere’ omosessuali, transgender e così via con pratiche che vanno dagli esorcismi all’elettroshock, dalla psicoterapia ai farmaci per ‘convincerli’ a cambiare identità di genere. Una conquista di civiltà perché queste tecniche di ‘riorientamento sessuale’, oltre ad avere basi scientifiche inesistenti ed essere contrarie a ogni deontologia, sono pericolose e dannose per chi le subisce, spesso adolescenti o giovanissimi. Eppure, tuttora sono praticate in 80 Paesi in tutto il mondo e ancora in Italia secondo una stima della SIA, una persona su dieci ancora le subisce. “Riteniamo imperativo tutelare il rispetto dell’identità di genere e crediamo essenziale aiutare ogni persona a vivere pienamente nel genere in cui si identifica: il genere non deve essere adeguato all’anatomia corporea, ma l’anatomia può e deve essere cambiata, se la persona lo desidera, per renderla concorde con il genere”, dichiara Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore di Urologia alla Università Federico II di Napoli, sottolineando anche che “A causa della pandemia negli ultimi due anni gli interventi di conversione di genere hanno subito una battuta d’arresto: a fronte di un migliaio di richieste, soltanto un centinaio di pazienti hanno potuto sottoporsi all’operazione”. Il progetto di legge della deputata Laurence Vanceunebrock, appena approvato dal Parlamento francese, rende punibili con pene che arrivano fino a tre anni di reclusione e multe fino a 45.000 euro tutte le “pratiche, i comportamenti e le dichiarazioni ripetute volte a modificare o reprimere l’orientamento sessuale”. Le modalità sono molte, infatti: queste ‘terapie’, scomparse dalle pratiche accettabili nel 1973 quando l’omosessualità è stata ufficialmente eliminata dal manuale diagnostico e terapeutico dei disturbi mentali (DSM), vanno dalle scosse elettriche agli ormoni, dall’ipnosi a ‘stage’ di psicoterapia o colloqui, e sono oggi ufficialmente respinte e condannate dall’ONU, oltre che già illegali negli Stati Uniti, Canada, Australia, Brasile e Taiwan. Anche il Parlamento Europeo nel 2018 ha chiesto ai Paesi membri di vietarle, ma oltre alla Francia solo Germania e Malta le hanno già messe al bando, mentre sono allo studio norme analoghe in Belgio e Olanda. “Queste pratiche con lo scopo di adeguare l’orientamento sessuale del soggetto a quello della maggioranza della popolazione, che siano più o meno invasive, producono tutte ingenti danni psicologici e fisici alle persone che ne sono vittime – spiegano Marco Capece, esperto chirurgo andrologo del Policlinico Federico II di Napoli e Michele Rizzo, tesoriere SIA – Si tratta di trattamenti eticamente inaccettabili, privi di qualsiasi fondamento scientifico, che la SIA condanna in ogni loro forma come violenze psicologiche e fisiche: per questo speriamo che anche l’Italia adotti una legge analoga a quella appena approvata all’unanimità dal Parlamento francese”. Per questo la SIA è al fianco dei numerosi centri italiani coinvolti attivamente nel percorso di transizione che conduce un individuo a vivere pienamente nel genere in cui si identifica: gli interventi di conversione di genere infatti hanno proprio il fine di alleviare le sofferenze per coloro che soffrono a causa della forma del proprio corpo e dei propri genitali in quanto si identificano nell’anatomia del genere opposto. “Purtroppo la pandemia non ha aiutato questi pazienti, che hanno fatto le spese della redistribuzione delle risorse a disposizione degli ospedali per fronteggiare i casi di Covid-19 – riprendono Capece e Rizzo – Molti centri italiani punti di riferimento per gli interventi di conversione dei genitali (gender affirming surgery) hanno dovuto ridurne il numero per dedicare i ristretti spazi operatori a patologie più urgenti. A causa di queste limitazioni gli andrologi italiani sono riusciti ad assicurare a solo una ventina di persone il percorso di transizione nel periodo della pandemia, a fronte però di almeno un migliaio di richieste: così oggi le liste d’attesa di tutti i principali centri di riferimento per questa chirurgia sono superiori ai 2 anni e si stanno allungando. Questo trend, se non invertito, porterà alla migrazione dei pazienti verso altri Stati, con costi e rischi elevati: da un lato infatti le spese che i pazienti devono sostenere sono molto elevate e parzialmente rimborsate dal SSN e solo in alcune regioni, dall’altro è difficile gestire eventuali complicanze postoperatorie di interventi così complessi dovendosi rivolgere a centri all’estero”.

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