“I gravi casi di cronaca in cui si verificano efferati delitti che turbano l’opinione pubblica – come il caso Turetta e l’omicidio di Giulia Cecchettin – ma anche altri gravi reati in cui i comportamenti rompono gli argini della normalità, siamo portati a pensare che sia una persona malata di mente a commettere questi atti. In realtà è un errore ricondurli automaticamente ad un disturbo psichiatrico o ad un vizio di mente. Al netto delle valutazioni di merito del singolo caso dobbiamo ricordare che il male esiste, la violenza viene agita continuamente in vari ambiti della nostra società e i disturbi antisociali della personalità non possono essere restituiti alla sicurezza, in termini di pericolosità sociale, da un approccio medicalizzato”.
Così Emi Bondi, presidente della Società italiana di Psichiatria intervenuta a Venezia, alla tavola rotonda su Psichiatria e Giustizia promossa da Motore Sanità presso la ex Scuola Grande San Marco al campo Santi Giovanni e Paolo. “E’ un dato di fatto – ha aggiunto la psichiatra – che nella nostra società sono più numerosi i cattivi che i matti e ciò pone un problema semmai di prevenzione, sicurezza sociale, cura e custodia a tutto tondo. La psichiatria non può occuparsi dell’ordine pubblico mentre può e deve operare nelle carceri, interagire profondamente con il sistema della giustizia e della reclusione e custodia ai fini della sicurezza e dalla cura di pazienti disturbati ma nell’attuale sistema di interazione della Psichiatria e della Giustizia siamo oltre le nostre possibilità. Servono dunque – ha concluso Bondi – riforme concrete delle articolazioni dei servizi di Salute mentale, sia in ospedale che sul territorio, nelle carceri e negli altri luoghi di custodia ma al contempo un adeguamento in termini di quantità e qualità delle dotazioni strumentali, strutturali e di personale in cui effettuare la presa in carico, la cura e la custodia di chi commette reati e di chi, tra questi, è affetto da gravi vizi di mente. La Psichiatria è fuori e dentro le carceri ma senza risorse, personale e strumenti”.
Andrea Ostellari,sottosegretario al ministero della Giustizia con la delega all’amministrazione penitenziaria, intervenuto al dibattito, ha puntato il dito sulla necessità di istituire una cabina di regia tra Giustizia e Salute su cui ha già trovato la disponibilità del ministro Orazio Schillaci con cui valutare le necessità e urgenze per potenziare la rete delle strutture e agire sulle leve della prevenzione dei reati connessi a profili di personalità più o meno patologici ma anche per potenziare i servizi di cura dentro le carceri. “Dobbiamo puntare sulla formazione e il lavoro nelle carceri – ha sostenuto – i detenuti che lavorano per il 98% non commettono più reati ma su una platea di circa 60 mila detenuti in Italia solo 19 mila di cui 16 mila in carico diretto e circa 3 mila grazie a servizi di formazione al lavoro esterni in convenzione con le carceri. Il 70 per cento della popolazione carceraria che non partecipa a opere educative ricommette reati. E ci sono spesso soggetti problematici. Una quota di questi non dovrebbe stare nelle carceri e un’altra che ci dovrebbe stare per converso è libero o sottoposto ad altre misure di custodia. Dobbiamo riassorbire queste sacche di inappropriatezza e di insufficiente sicurezza che altrimenti ricadono nuovamente con peso notevole sull’intera società”.
“Sono stato chiamato da perito per una trentina di casi di femminicidi – ha aggiunto Rolando Paterniti, criminologo dell’Università degli Studi di Firenze e membro del tavolo nazionale di Sanità e Giustizia – e solo in due casi si trattava di un reato effettuato sotto l’influenza di allucinazioni e gravi incapacità mentali. Bisogna individuare un disturbo severo e profondo di tipo psicotico per dichiarare incapace di intendere e di volere una persona. C’è poi un ricorso eccessivo alla perizia psichiatrica quando è chiaro che invece non è necessaria. Quanto ad alcuni disturbi come quello antisociale della personalità, gli psichiatri non possono curare tutto e tutti e questi sono da considerare non curabili”. Paterniti ha fatto parte del collegio peritale che ha valutato Gianluca Paul Seung, accusato dell’omicidio della psichiatra Barbara Capovani avvenuto lo scorso aprile a Pisa. “Abbiamo riconosciuto nell’imputato la presenza di un disturbo della personalità di tipo narcisistico e paranoideo ma ciò non ha inciso sulla sua capacità di intendere e di volere. E dunque il luogo in cui un profilo deve stare è il carcere. Quanto a gravi fatti di cronaca con efferati delitti vanno assolutamente evitati processi mediatici e spettacolarizzazioni e vanno intervistati i tecnici competenti sulla materia e non opinionisti fuorvianti nella analisi della materia criminologica. Anche la modalità comunicativa è importante e bisogna fare attenzione ai linguaggi per non aumentare – infine – lo stigma nei confronti dei malati di mente”.
Al centro della tavola rotonda la questione della non imputabilità di autori di gravi reati, del riconoscimento del parziale (in che percentuale?) o totale vizio di mente, della incapacità di intendere e di volere e dei fattori esterni di pericolosità sociale (riferiti alla mancanza di casa, di un alloggio e di un rete sociale di supporto) rispetto al pericolo e alla sicurezza sociale e alle potenzialità di reiterare i reati per stabilire i luoghi di custodia in cui confinare un soggetto pericoloso per neutralizzarne la pericolosità e assicurare sicurezza sociale. In Italia sono disponibili 650 posti nelle Rems (strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza) in soggetti pericolosi con vizio di mente che sono la metà di quelli che erano disponibili negli Opg, “La questione chiave – ha aggiunto Paterniti – è anche ridurre a monte i casi in cui si può concedere il vizio di mente in quanto tra patologia psicoattiva e reatio commesso deve essere riconosciuto un nesso di causa ed effetto. Non può insomma esserci equivalenza tra patologia e reato commesso e viceversa. I delitti sono nella nostra vita, violenza, delinquenza, la scelta di fare del male ad un altro essere umano può benissimo essere indipendente da una patologia mentale”.
E si torna al problema della cura e della custodia di risorse, strutture e strumenti da rimettere nell’agenda della giustizia e della Salute per la sicurezza degli operatori dei servizi di detenzione, degli ospedali, e delle Asl e ovviamente dei cittadini .
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