Questa sera 15 luglio alle ore 20,15 andrà in scena in Piazza del Plebiscito la prima de Il Trovatore di Giuseppe Verdi
Protagonista del capolavoro verdiano artisti di fama internazionale: Anna Netrebko nel ruolo di Leonora, Yusif Eyvazov in quello di Manrico, Anita Rachvelishvili nei panni di Azucena e Luca Salsi nel ruolo del Conte di Luna.
A completare il cast, Andrea Mastroni (Ferrando), Vittoriana De Amicis (Ines) e Gabriele Mangione (Ruiz).
A dirigere Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo (quest’ultimo preparato dal Maestro Josè Luis Basso) sarà Marco Armiliato.
Sabato 17 luglio la replica, sempre alle 20,15. Lo spettacolo è in forma di concerto.
Il Trovatore costituisce il quarto ed ultimo appuntamento Regione Lirica, manifestazione del Teatro di San Carlo in Piazza del Plebiscito sostenuta dalla Regione Campania.
Delle opere che formano la “trilogia popolare” di Verdi, Il trovatore fu quella che ebbe la più ampia diffusione nel corso del secolo XIX. Allo stesso tempo risultò anche la più problematica, non solo agli occhi della critica, ma anche di molti spettatori.
Il libretto de Il Trovatore si basa sul dramma omonimo in cinque atti di Antonio García Gutiérrez, che aveva debuttato con enorme successo a Madrid il 1 marzo 1836. Il giovane drammaturgo spagnolo, nato per combinazione lo stesso anno di Verdi, aveva concepito questa sua prima opera in un momento di grande effervescenza politica in Spagna. Morto nel 1833 Ferdinando VII, importante rappresentante dell’assolutismo, si era aperto un periodo di grandi speranze e grandi incertezze.
Il dramma di García Gutiérrez s’inserisce nella particolare congiuntura politica ed emotiva di quel periodo, essendo a sua volta ambientato durante un conflitto dinastico all’interno della Corona di Aragona agli inizi del XV secolo: da una parte i sostenitori del Conde de Urgel, fazione cui appartiene uno dei protagonisti principali, Manrique e dall’altra coloro che difendono la posizione che si dimostrerà vincente di Fernando de Antequera, fazione capitanata dal Conde de Luna, don Nuño. Nell’immaginario liberal-progressista spagnolo – per il quale García Gutiérrez divenne un riferimento molto rilevante -, questa evocazione più o meno fantasiosa dei conflitti medievali della Corona di Aragona, si associava inevitabilmente alla difesa delle mitiche libertà civili rispetto all’arbitrario potere del re. Questo elemento resta, perfino più evidente, anche nel libretto di Cammarano e nella stessa musica di Verdi, che sintetizzano nei quattro atti il rapido susseguirsi della trama originale. Dal triplo raddoppio iniziale di timpani e grancassa, che introduce i segnali militari degli ottoni, ai cori di soldati e ribelli presenti nei tre primi atti, il colore dell’opera è assolutamente oscuro: si passa dalla “tinta” notturna e profumata del secondo quadro nei giardini del palazzo – scena che si erge come un’isola segreta circondata tutt’attorno da violenza – alla terribile “notte oscurissima” presidiata nell’ultimo atto dalla “orrida torre”, ancora una volta l’Aljafería. Un mondo oscuro e maschile, in cui la solarità e l’abbandono delle due voci femminili acquista un rilievo tutto speciale.
Quella raccontata dal dramma (e dalla partitura operistica) è una storia doppia, ciascuna parte caratterizzata dalla passione amorosa, come aveva spiegato Lorenzo Bianconi nel suo saggio fondamentale sull’opera. La prima storia, la più nota, è incentrata sul triangolo formato da Manrique/Manrico il Conte di Luna e Leonora de Sesé, con la disputa tra i due antagonisti per conquistare l’amore della bella dama, appartenente alla corte aragonese. L’altra storia, pone in relazione i due protagonisti maschili già nominati, con la zingara Azucena, donna distrutta dal ricordo della morte atroce di sua madre, bruciata sul rogo, di cui era stato responsabile il padre dell’attuale Conte di Luna.
L’idea di trasformare il dramma di Gutiérrez in libretto d’opera era stata dello stesso Verdi. Nel gennaio 1851, il compositore aveva scritto con entusiasmo a Salvadore Cammarano a Napoli: «A me [El trovador] sembra bellissimo; immaginoso e con situazioni potenti». Alcuni mesi dopo, in una celebre lettera ancora a Cammarano del 4 aprile, Verdi si lamentava della mancanza d’interesse che il destinatario aveva mostrato per questa sua idea: «Voi non mi dite una parola se questo dramma vi piace. Io ve l’ho proposto perché parevami pressentasse bei punti di scena, sopratutto qualche cosa di singolare di originale nell’insieme».
La «novità e bizarria» del dramma spagnolo (come lo definì lo stesso Verdi) erano elementi che attirarono il compositore. Verdi seppe vedere l’originalità di quella proposta non solo nella figura della zingara Azucena – che fu interpretata dal musicista come un personaggio tormentato dalla contraddizione distruttiva tra «le due grandi passioni di questa donna, Amor figliale, e amor materno», ma anche in una quantità di suggerimenti sonori e spaziali impliciti nel testo di García Gutiérrez (il cui teatro a sua volta rispondeva ad una drammaturgia profondamente influenzata in quel tempo dall’opera italiana).
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